Di seguito, la storia con ricerche e testo a cura della signora Mariangela De Campo, profonda conoscitrice e storica del paese di Lauco, che ringrazio pubblicamente per il materiale concessomi.
I CRAMÂRS
Il nome "cramâr" è di origine tedesca e viene tradotto con mercante in piccolo, venditore ambulante. I cramârs sono stati fra i fenomeni storici più caratteristici della Carnia e dell'arco alpino nord-orientale, la nascita di questo lavoro si perde nella notte dei secoli addietro. Nel comune di Lauco svolgevano questa attività solo gli abitanti della frazione di Vinaio, per vendere i tessuti che producevano in proprio. Conoscevano molto bene l'arte della tessitura e sapevano che il loro prodotto era di buona qualità. Proprio per questo riuscirono a
creare uno dei primi slogan pubblicitari che suonava così: “tele di Vinai che no si sbreghe mai” (tessuto di Vinaio che non si straccia mai). Loro non sapevano di essere i precursori dei copywriter e la ripetevano, a voce alta, ad ogni arrivo nei villaggi di montagna. Avevano un loro spazio di mercato, dalle montagne del bellunese fino ai confini dell’est con l’impero Austro Ungarico. Decisamente unico anche il metodo di spostamento, a piedi. Percorrevano chilometri e chilometri con in spalla la "crassigne", un contenitore munito di bretelle, da portare sulle spalle, ove venivano appoggiate le stoffe, una sull'altra, e dotato
di un cassetto sulla parte inferiore, ove i cramârs riponevano documenti e cibo. Sulle piccole pareti del cassetto c'era sempre un'immagine sacra. Di media la "crassigne", a pieno carico, aveva un peso di circa 45-50 chilogrammi.
Per riparare dalle intemperie il prezioso carico, i venditori ambulanti, usavano una sorta di ombrellone con due anelli ai lati, ove veniva infilato il metro di legno. I percorsi dei "cramârs" erano preordinati, sapevano quando visitare i loro clienti e quando arrivare in nuove abitazioni, ma nonc si avventuravano mai in luoghi sconosciuti. Viaggiavano sempre In coppia e la loro conoscenza dei percorsi non aveva paragoni. Conoscevano salite, discese, spazi piani, luoghi disosta, tempi di percorrenza da un luogo all’altro, orari scanditi dal sole, dalla luna e dal firmamento in genere. Sapevano benissimo quando bisognava cambiare l’andatura e quando si doveva sostare. I cramârs non potevano correre, se non dopo aver venduto tutto il loro prodotto, in quanto i loro movimenti erano impediti dall'ingombrante "crassigne".
Potremmo elencare nomi e cognomi degli ultimi cramârs di Vinaio, ma forse è meglio ricordarli con i soprannomi di famiglia: chei di Cecchine, chei di Balan, chei di Cros, chei de Niesse, ecc. ecc..
Gente allegra e disperata che aveva trovato, in questo "modus vivendi", lo stile di vita più congeniale a loro e alle proprie famiglie.
Il ricordo di questi uomini, nella nostra zona, non potrà mai venire meno in quanto, quasi tutte le famiglie residenti e discendenti della comunità di Vinaio potranno intonare un antico detto nato nella zona di Collina di Forni Avoltri “... e gno von l’era un cramâr" (... e mio nonno era un cramâr).
Liberi sì, ma di dover partire.
Mariangela De Campo